Bonus, caro materiali, energia: Federacciai con Federcostruzioni per una maggiore attenzione del Governo
Data:
29 Novembre 2022
Roma, 29 novembre 2022. «Il tema dell’energia è strettamente legato al mondo delle costruzioni. Solo attraverso una riqualificazione degli edifici potremo avere un reale risparmio energetico, e solo attraverso un sostegno alle aziende del settore, potremo continuare ad avere un’industria nazionale in grado di fornire le soluzioni e le tecnologie per questa riqualificazione» è quanto afferma Paola Marone, Presidente di Federcostruzioni, a commento di una finanziaria che non affronta il tema energia in modo strutturale.
«Per questo motivo Federcostruzioni, con l’approvazione e il sostegno unanime di tutte le nostre associate e nostri vicepresidenti e consiglieri, porta avanti un impegno per la gestione del problema del caro materiali, per l’individuazione di soluzioni a sostegno delle industrie energivore del comparto, per un rilancio attuabile dei bonus di riqualificazione e del meccanismo della cessione del credito, il governo deve assolutamente porre massima attenzione a questa problematica, i crediti giacciono nei cassetti fiscali di imprese e professionisti che non riescono a monetizzare.» aggiunge la Presidente.
“Mi chiedo per quanto ancora uno Stato possa pensare di abbassare il costo energetico senza abbassare i consumi. I Bonus sono necessari per questo, non sono un regalo ma un investimento per il futuro del Paese. Anche perchè sarà necessario poter riservare sempre in modo maggiore le risorse energetiche all’industria nazionale, altrimenti il rischio è quello di perdere capacità produttiva e offerta lavorativa» sottolinea «Industria che è un’eccellenza mondiale anche sul piano della sostenibilità.”
A sostegno di questa azione, riguardante energia, bonus e materiali, riprendiamo il parere del Consigliere Federcostruzioni Antonio Gozzi, presidente di Federacciai.
Intervista al Presidente Antonio Gozzi
Presidente Gozzi, qual è l’impatto della crisi energetica sull’industria dell’acciaio italiana?
L’industria dell’acciaio è un’industria energivora per definizione.
Va però rilevato che l’80% dell’acciaio italiano, cioè 20 milioni su 24 milioni di tonnellate, è prodotto con forni elettrici, che è la soluzione più sostenibile tra quelle attuabili.
Siamo l’unico paese al mondo che ha una così forte concentrazione della produzione dell’acciaio da forno elettrico e questo ci rende dei campioni mondiali di decarbonizzazione: la produzione di una tonnellata d’acciaio da forno elettrico genera 10-12 volte meno CO2 rispetto la produzione della stessa tonnellata d’acciaio fatta con gli altiforni a base di carbone.
Questa scelta sostenibile oggi, in piena crisi energetica, vi premia o è un peso economico da sopportare?
Siamo energivori elettrici, cioè la gran parte dell’energia che noi consumiamo è energia elettrica. Da un punto di vista economico oggi è un problema.
Questo perché l’andamento del prezzo dell’energia elettrica segue, come driver, il prezzo del gas.
Ad oggi vige il cosiddetto sistema del marginal price (SMP), si tratta del meccanismo in uso in gran parte dell’europa per fissare ogni giorno il costo dell’elettricità. Il prezzo si costruisce molto facilmente: si parte dal prezzo del gas, questo viene moltiplicato per due, si aggiunge a questo importo il 30% del prezzo delle CO2.
Oggi il prezzo dell’energia elettrica oscilla tra i 250-270 € mentre il prezzo del gas intorno ai 120€. Pertanto, moltiplicando il prezzo del gas per due è uguale a 240 euro +30% delle CO2 che sono oggi intorno al 70-80€.
Questo avviene perché non si è ancora riusciti a fare il cosiddetto decoupling, ovvero quella regola che consentirebbe di dividere nettamente il prezzo dell’energia elettrica prodotta col gas dal prezzo dell’energia elettrica prodotta con fonti rinnovabili. Oggi il full cost dell’energia elettrica prodotta con fonti rinnovabili oscilla tra i 70-80€, remunerando bene l’investimento delle rinnovabili, se i produttori delle rinnovabili non hanno contratti a lungo termine oggi vendono l’energia a 250€ quando gliene costa solo 80€. Senza decoupling chi produce energia elettrica da fonti rinnovabili può quindi rivenderla al prezzo stabilito dal sistema del marginal price.
E rispetto agli altri Paesi europei come siamo posizionati?
Dentro questo scenario noi soffriamo perché paghiamo l’energia elettrica molto più cara di quella che la pagano i concorrenti stranieri: basta citare Francia e Germania.
La siderurgia francese da almeno un anno dispone di una misura del governo francese che mette a disposizione il 60% dell’energia elettrica consumata a 42€. Se facciamo il full cost aggiungendo un 40% comprato a prezzo di mercato, lei vede che i francesi pagano molto meno di noi.
Così è anche per i tedeschi i quali hanno avuto, grazie ai famosi 200 miliardi di intervento dello Stato, l’accesso ad un prezzo del gas particolarmente conveniente.
Ci troviamo in una situazione in cui l’industria siderurgica italiana paga l’energia elettrica di più di quella che la pagano i concorrenti europei.
La Francia ha il nucleare, la Germania ha i miliardi… cosa occorre fare quindi?
Se non si prendono misure europee comuni sul prezzo dell’energia in sostanza finisce il mercato unico europeo.
Se io mi ritrovo a competere con competitor francesi, spagnoli, tedeschi che hanno un costo dell’energia completamente più basso, che è un fattore produttivo che incide per il 33-38% del costo del mio prodotto, mi trovo piazzato non positivamente. Si creano delle asimmetrie competitive molto gravi.
Se il mercato è unico, dovrebbe essere unico anche il prezzo, questo sta generando grande imbarazzo in Europa.
Come abbiamo fatto per il covid, sarebbe auspicabile istituire un grande fondo comune europeo per l’energia, magari imponendo anche misure a favore dei paesi coloro i quali risparmiano di più.
Presidente ma la nostra produzione soddisfa soprattutto il mercato italiano o è anche una produzione che va verso l’estero?
La produzione di acciaio italiano va per il 50% all’estero quindi è esposta alla competizione internazionale in maniera molto forte, in particolare alla competizione europea.
Fortunatamente fino ad oggi la domanda sui prodotti lunghi, cioè quelli destinati alle costruzioni ha retto abbastanza, ha consentito di scaricare almeno parzialmente agli extra costi dell’energia sui prezzi del prodotto finito, ma in questo momento c’è un calo della domanda, al calo della domanda si accompagna un significativo calo dei prezzi con grosse difficoltà a scaricare l’extracosto dell’energia.
Diversi impianti oggi cercano di produrre nelle ore in cui il costo dell’energia è più basso – la notte e il sabato e la domenica – e lo fanno grazie alla grande flessibilità dei nostri collaboratori. Presto ci troveremo in una situazione in cui fermeremo la produzione.
Cosa possiamo chiedere al governo in riferimento alle politiche energetiche per dare un supporto interno con la speranza di risolvere il problema in EU?
La crisi energetica dipende della crisi del gas.
Il problema del gas è un problema nato per uno vero e proprio shortage fisico, cioè una mancanza reale di offerta, causata dalle politiche russe. Il problema è partito prima della guerra, i Russi hanno fatto mancare, a partire dal giugno del 2021 certe quantità di gas che venivano normalmente messe sulle piattaforme dello spot market cioè del prezzo giornaliero e questo ha comportato un aumento dei prezzi del gas, probabilmente pensavo già all’invasione e pensavo a come finanziarla.
A partire dall’invasione del 24 febbraio scorso, a seguire con le sanzioni europee si è andati verso un crescendo di ritorsioni russe che hanno portato poi alla chiusura quasi totale dei rubinetti del gas verso l’Europa provocando ovviamente una carenza di offerta molto significativa e quindi i prezzi sono saliti.
Questo è un problema europeo, di una parte particolare dell’Europa, e non un problema mondiale, il costo dell’energia in America è completamente diverso.
La Crisi del gas durerà fino a quando ci sarà una situazione di dipendenza dal gas russo.
Il costo del gas è salito alle stelle quando i soggetti europei hanno avuto l’ordine di riempire gli stoccaggi a qualunque prezzo e questo naturalmente ha fatto esplodere i prezzi sul mercato, perché in una situazione di carenza di offerta c’è stata una forte domanda.
Appena gli stoccaggi sono stati riempiti il prezzo è sceso.
Nel frattempo sono arrivate tante navi con gas naturale liquefatto (GNL), a prezzi elevati ma sono arrivate, incomincia ad arrivare il gas dal Mozambico e anche l’Algeria comincia a dare più gas attraverso l’Enrico Mattei, il gasdotto Algeria-Tunisia-Italia.
Questa situazione durerà fino a quando i processi di diversificazione/sostituzione del gas russo non saranno completati.
A marzo/aprile 2023 dovrebbe entrare in funzione il rigassificatore di Piombino mentre l’anno successivo entrerà in funzione quello di Ravenna. Entrambi hanno una capacità di 5 miliardi di metri cubi di gas l’anno quindi, 10 miliardi dei 38-40 che importavamo dalla Russia.
Una parte di questo addendum, si parla di 5-7 milioni, arriverà dall’Algeria, il Tap probabilmente riuscirà a dare un miliardo, un miliardo e mezzo in più di quello che da oggi, il resto arriverà dagli altri rigassificatori italiani: Rovigo, Livorno.
Se non basteranno queste politiche di sostituzione bisognerà procedere a riduzioni di consumi significative, sia da parte dell’industria che da parte delle famiglie. Io credo che il momento più difficile sarò quello del riempimento degli stoccaggi l’estate prossima.
L’uso delle rinnovabili per produrre energia può essere una soluzione per l’industria siderurgica italiana?
Si lo è, ma in parte.
Molti dei grandi player siderurgici italiani stanno investendo in campi fotovoltaici, qualcuno anche nell’eolico.
Il problema dell’utilizzo delle rinnovabili in industrie di processo a flusso continuo è il seguente: le rinnovabili coprono a dir tanto il 2000-2200 h/anno, se faccio una media tra l’eolico e il fotovoltaico. L’industria siderurgica lavora 8000-8200 h/anno.
Resta quindi il problema di come alimentare le altre 6000 ore. Abbiamo bisogno di un quantitativo importante di energia di base perché le rinnovabili non mi coprono tutto il fabbisogno.
Noi vogliamo fare molto di più perché vogliamo arrivare nel 2030 come campioni del mondo di decarbonizzazione. Come? Investendo nelle rinnovabili e cercando del baseload decarbonizzato, quindi il turbogas, i cicli combinati con l’applicazione delle tecnologie della carbon capture, cioè la cattura della CO2 emessa dai turbogas e utilizzata per farne qualcosa.
Si è creato su nostra iniziativa un consorzio tra imprenditori della provincia di Ravenna, Ferrara e l’Eni per stoccare in giacimenti depleti davanti a Ravenna questa CO2. È una tecnologia ormai consolidata che usa la Norvegia, la Gran Bretagna. Oltre a questo ci resta di fare contratti con produttori nucleari esteri perché anche il nucleare è un’energia di base decarbonizzata. Noi stiamo lavorando con gli sloveni per verificare se un consorzio di industriali siderurgici italiani potrebbe fare un contratto a lungo termine con la centrale nucleare slovena, al limite finanziando una parte dell’ampliamento di questa centrale.
Noi abbiamo bisogno di energia di base decarbonizzata e le rinnovabili non bastano. La tecnologia degli accumuli tramite batteria è una tecnologia ancora molto costosa, non ancora completamente messa a punto, che richiede grandi quantità di terre rare e litio, e così spostano la nostra dipendenza dai russi alla dipendenza dai cinesi.
Come italiani siamo l’hub più importante del gas del Mediterraneo, non esiste un paese così infrastrutturato come il nostro, oggi abbiamo 5 gasdotti che portano gas in Italia. Presto, con Piombino e Ravenna, avremo in totale 5 gassificatori. Possiamo quindi dire che siamo una piattaforma straordinariamente armata per l’importazione di gas.
Allora lei mi spiega per quale ragione se il gas che utilizzo per la produzione di energia elettrica viene da gas decarbonizzato con le tecnologie da carbon capture non va bene? È una questione irrazionale, non economica o razionale! C’è una parte del Paese per cui gli idrocarburi, anche se decarbonizzati non si possono utilizzare.
Qual è il valore aggiunto per Federacciai di far parte di Federcostruzioni?
Non esiste nessuna grande area economica del mondo che possa fare a meno dell’acciaio e del cemento.
Il valore aggiunto di stare insieme in Federcostruzioni è il potenziale di poter far sistema in un soggetto unico con il mondo della chimica e con il mondo del cemento.
Tutti stiamo facendo sforzi enormi per rispettare l’impegno europeo alla decarbonizzazione e la possibilità di fare grandi sinergie, grandi collaborazioni, sia per migliorare reciprocamente i processi di produzione, sia soprattutto per affrontare la competizione che verrà.
Ebbene la collaborazione tra costruttori e produttori di acciaio così come tra costruttori e produttori di cemento è fondamentale rimanere sulle frontiere della competitività futura.
Da questo tipo di scambio culturale, prima che ancora che industriale, di esperienze di ricerca e sviluppo di preparazione per fronteggiare la competizione internazionale eccetera viene come dire un grande valore aggiunto alla forza competitiva del sistema Italia.
Il sistema industriale italiano ha fatto un grande salto grazie al 4.0. Più facciamo sistema, più siamo forti dal punto di vista internazionale.
Federcostruzioni, oltre ad essere impegnata sulla gestione del caro materiali e il sostegno dell’industrie energivore sta lottando perchè si arrivi a una strutturazione del superbonus e la risoluzione dei problemi relativi alla cessione dei crediti. Qual’è la posizione di Federacciai su questa ultima azione di Federcostruzioni ?
Ultimo aggiornamento
29 Novembre 2022, 15:28